Il “Risk Based Thinking” (pensiero basato sul rischio): è alla base delle attuali norme ISO (Come ad esempio la ISO 9001: Sistemi di Gestione della Qualità e ISO 45001 Sistemi di Gestione per la Salute e per la Sicurezza sul Lavoro. Al “Risk Management” è per altro anche dedicata una specifica norma, la ISO 31000.
Le norme ISO ( International Organization for Standardization) definiscono il Rischio come “effetto dell’incertezza sugli obiettivi“, precisando che tale effetto può essere sia positivo che negativo. La parola “rischio”, quando l’effetto è positivo, può essere sostituita da “opportunità“.
Negli standard di riferimento internazionali quindi “l’analisi dei rischi e delle opportunità” per l’organizzazione e nell’organizzazione ha assunto un’importanza strategica.
Tale analisi va contestualizzata e ha lo scopo di valutare di tutti elementi interni ed esterni che interagiscono con l’attività, che possono generare rischi ed influire sulle performance e quindi sulla capacità di raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Questo approccio è certamente interessante, perché sposta il focus dall’organizzazione “come immaginata” all’interazione dinamica tra l’organizzazione e il suo contesto interno ed esterno e sull’incertezza che inevitabilmente ciò genera, al fine di configurare un organizzazione pro-attiva, flessibile, aperta e “resiliente”.
Ma nella pratica, quali sono i fattori da considerare nell’analisi del contesto che possono avere ricadute (negative o positive) sulle performance?
In tal senso, può essere di grande aiuto pratico il modello dei Performance Inflencing Factors (PIFs). Si tratta di un approccio utilizzato nell’ambito Health&Safety, ma utilizzabile anche con obiettivi di analisi più ampi, che tiene conto dei fattori che influenzano le performance (e quindi i risultati) e di come questi interagiscono tra loro in un sistema complesso e dinamico.
Il modello PIFs individua 3 famiglie di fattori di cui tenere conto:
- I “Job factors”, ovvero i fattori legati al lavoro / compito
- I “Person factors”, ovvero i fattori legati alla persona / individuo
- Gli “Organization Factors”, ovvero i fattori legati all’organizzazione
Nello specifico, i fattori legati al lavoro possono essere, ad esempio, la complessità dei compiti, i compiti routinari (suscettibili quindi a cali di attenzione) o straordinari (per i quali con maggiore probabilità si può avere un deficit di competenze o consapevolezza situazionale), la presenza o assenza di strumenti adeguati, l’ambiente di lavoro (rumore, microclima, spazio disponibile, illuminazione etc.), il tempo a disposizione, le dinamiche di comunicazione operativa (tra colleghi, con i responsabili, con aziende in appalto etc.), l’adeguatezza e la fruibilità delle procedure, dei segnali e di altri strumenti visuali.
I fattori legati alla persona sono invece la condizione e le capacità fisiche (l’idoneità sanitaria, la capacità lavorativa dei lavoratori di diversa età etc.), la fatica (cronica, acuta), lo stress psicologico e la capacità di farvi fronte, le competenze del singolo lavoratore e il suo livello di motivazione e coinvolgimento.
I fattori organizzativi infine sono legati alla pressione esercitata dal carico lavorativo, gli stili di management e la leadership, la chiara definizione di ruoli e responsabilità, le barriere organizzative (ridondanze, supervisione efficace) che possono proteggere da errori umani individuali (che non sono eliminabili), la capacità dell’organizzazione di imparare dagli errori e migliorarsi costantemente (cultura organizzativa), la comunicazione inter-dipartimento e inter-organizzativa, l’adesione ad una visione comune.
Individuare e analizzare nella propria organizzazione i PIFs può consentire quindi di effettuare un’analisi del contesto e dei rischi: organizzativi, legati a compiti e persone e alla combinazione di questi tra loro (ad esempio: interfaccia uomo – macchina, interfaccia uomo – processi, interfaccia tra tecnologia e processi).
A livello pratico, questo può tradursi ad esempio in una matrice, che considera da una parte i PIFs di interesse della specifica azienda, e dall’altra i processi e le attività, consentendo quindi di comprendere in ogni processo quali sono i fattori che maggiormente possono generare incertezza ed influenzare le performance.
Ad esempio, un processo produttivo industriale, portato avanti su più turni a ciclo continuo, necessiterà di considerare attentamente i fattori organizzativi (la comunicazione in fase di cambio turno, le checklist, l’identificazione di ruoli e responsabilità) fattori individuali (la stanchezza, lo stress, la capacità fisica legata al lavoro notturno, la competenza dei lavoratori esperti) e fattori legati al lavoro (il tempo disponibile nelle fasi di passaggio di consegne, l’adeguatezza delle procedure, la disponibilità di strumenti informativi, allarmi, software) e come questi si influenzano e interagiscono tra loro.
Questo approccio ha inoltre il vantaggio di poter essere facilmente e rapidamente esteso, direttamente o indirettamente, a diversi tipi di performance, riconducibili ad esempio a obiettivi di qualità, produttività, clima e benessere organizzativo, tutela dell’ambiente etc.
Infine, ha riscontro scientifico la considerazione che l’analisi e la seguente ottimizzazione dei PIFs influenza positivamente la performance umana, diminuendo la probabilità di errori umani o mitigandone gli effetti grazie alla ridondanza dei sistemi monitoraggio, controllo, supervisione, prevenzione e protezione sviluppati in maniera specifica ed appropriata.
A cura di Francesco Menegalli